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Il Signore provvederà

  • Paola Maffia
  • 16 apr 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 13 gen

Era ancora bella, Connie, nonostante i suoi 75 anni di età. Mi era piaciuta sin dal primo giorno in cui la conobbi in chiesa: sentivo in lei una forza spirituale fuori dal normale, dalla quale mi sentivo attratta e rassicurata. La nostra stima reciproca cresceva di giorno in giorno, tanto che divenne consuetudine, per noi, sederci l’una accanto all’altra sulle panche della chiesa e frequentarci anche al di fuori di essa. Il mio affetto per lei crebbe ancora di più, dopo che ebbi il beneficio di ascoltare la sua storia. Connie era nata nelle Filippine e proveniva da una famiglia piuttosto benestante che le diede la possibilità di frequentare l’Università. Dopo un lungo percorso di studi, conseguita la laurea in Giurisprudenza, ottenne il privilegio di lavorare come Magistrato nel suo paese, ma la sua carriera fu arrestata sul nascere per ragioni che, in qualche modo, avevano a che fare con la sua fede. Diventata credente sin da giovane, infatti, Connie aveva sempre anteposto il Signore ad ogni sua scelta di vita e, una volta raggiunto il suo traguardo in Magistratura, non esitò a schierarsi in difesa dei piccoli proprietari terrieri, a cui lo stato voleva confiscare indebitamente i poderi. La cosa attirò non poche attenzioni da parte del governo e, un brutto giorno, due funzionari dello stato si presentarono nel suo ufficio; senza troppi convenevoli gettarono sulla sua scrivania due buste da lettera: una conteneva un’allettante somma di denaro, l’altra, invece, un paio di proiettili. Connie avrebbe dovuto scegliere da che parte stare e la posta in gioco era alta, molto alta.


***


Nabot aveva una vigna, della quale si prendeva cura quotidianamente. L’aveva ricevuta in eredità da suo padre, che a sua volta l’aveva ottenuta dal suo, e lui, grato di questo privilegio, aveva promesso a se stesso di non tradire la tradizione familiare e di poter a sua volta donare ai propri discendenti la terra dei suoi padri. Mai Nabot avrebbe immaginato che il suo stesso re, presso il cui palazzo si trovava la sua vigna, avrebbe avanzato delle strane pretese. “Dammi la tua vigna, Nabot, perché voglio farmi un orto” gli disse un giorno re Acab, “in fondo si trova proprio vicino al mio palazzo. Naturalmente faremo un accordo che troverai molto vantaggioso: ti darò in cambio un terreno migliore o, se preferisci, te l’acquisterò”. Nabot non avrebbe mai potuto tradire la fiducia dei suoi avi, e non ci pensò due volte a rifiutare l’offerta del re.“ Mi guardi il Signore dal darti l’eredità dei miei padri” rispose risolutamente. Il caso era chiuso, o, almeno, così gli sembrava.


***


Lo zio di Connie era stato irremovibile: “Non hai altra scelta. Ho già provveduto al biglietto. Vedrai, potrai tornare presto, non appena le acque si calmeranno. Per ora è troppo rischioso restare. Penserò io ai tuoi genitori e ai tuoi fratelli. Non verrà loro torto un capello”. Suo zio aveva ragione e questo la rendeva sempre più consapevole del fatto che la sua vita sarebbe stata stravolta. Perché non andare in America? Perché l ‘Italia? Un paese così lontano dalla sua cultura, un paese che aveva molto poco da offrirle e del quale avrebbe dovuto imparare la lingua. Ma ormai tutto era stato deciso e lei non poteva tirarsi indietro. L’alternativa sarebbe stata o morire, o, peggio ancora, andare contro la sua natura e cedere alla corruzione che da sempre aveva promesso di combattere.


***


“Ma chi crede di essere, quel Nabot?”, gridò Jezebel, “sei tu, sì o no, che eserciti la sovranità sopra Israele? La vigna di Nabot te la farò avere io!”. Acab sapeva fin troppo bene che sua moglie avrebbe mantenuto la promessa ad ogni costo, anche con l’inganno, se necessario, e non si stupì affatto quando apprese che, in seguito alla testimonianza di due malfattori, Nabot, accusato di aver maledetto Dio e il re, era stato lapidato fuori dalla città: sua moglie Jezebel aveva colpito ancora e lui, presto, avrebbe avuto il suo orticello.


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“… Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

Fu proprio il caso di Connie: lasciare il suo paese, i suoi affetti e le sue certezze fu, per lei, come morire. Ancor di più, lo fu il dover ricominciare tutto da zero: imparare una nuova lingua, adattarsi a nuove usanze, accettare un lavoro diverso da quello per il quale aveva studiato. Eppure lei non si scoraggiò e, nel corso degli anni, dopo tanta fatica, il seme di grano presente in lei, portò molto frutto. Connie, in Italia, divenne la colonna portante della sua chiesa: diaconessa consacrata, insegnante della Parola, saggia consigliera, validissima guida per le giovani donne appena convertite e, soprattutto, esempio unico di preghiera potente. Connie aveva deposto la sua vita ai piedi della croce e, ripetendo spesso la frase “Il Signore provvederà”, era certa che Colui a cui lei era rimasta fedele non l’avrebbe mai abbandonata.


***


“Chi semina vento raccoglie tempesta”.

Jezebel non aveva fatto altro che ordire complotti, togliere la vita ai servitori dell’ Iddio Onnipotente, schiacciare, diffamare, manipolare, comandare e sedurre. Ora era arrivato il momento di fare i conti con la tempesta.     “Buttatela giù!”, ordinò Ieu, il nuovo re di Israele. I funzionari non se lo fecero ripetere due volte e la lanciarono dalla finestra. La scena macabra che Ieu si trovò dinnanzi non lo fece arretrare di un passo e, senza pietà, le passò sopra, calpestandola. Giustizia era fatta ; quello che rimase di lei fu poi divorato dai cani, come Elia aveva predetto.

***


Gli anni trascorsero serenamente. Connie si era sposata, aveva trovato nuovi amici e una vita appagante e, sebbene col passare del tempo l’assetto politico del suo paese fosse cambiato, lei decise di tornarvi solo occasionalmente, durante le vacanze. La sua vita, ormai, era in Italia, dove lei aveva messo radici e aveva portato frutto, circondata dall’amore dei suoi figli e dei suoi nipoti. Ricordo le ore liete trascorse con lei, i pranzi a casa mia, le risate, le battaglie combattute assieme, gli studi biblici nel suo appartamento il sabato mattina e tanto tanto ancora. Non mi stancavo della sua presenza ed ascoltavo avidamente i suoi racconti di vita, mai banali.  Negli anni immediatamente successivi alla pandemia, però, Connie iniziò a perdere lentamente la sua vivacità. La voce si faceva man mano più flebile, il viso più stanco, il corpo più dolorante, ma la sua forza spirituale, per nulla scalfita dalla vecchiaia, era sempre la stessa: la donna esteriore si andava disfacendo ma quella interiore si rinnovava di giorno in giorno, tanto che ciò che mi disse durante la mia ultima visita a casa sua, mi lasciò senza parole.  “Torno nelle Filippine”, mi disse, “non sto bene e voglio morire nel mio paese. Non credo che ci vedremo più, ma ci sentiremo ogni sabato, fino a quando ne avrò la forza. Sarà dura, ma il Signore provvederà”.


***



Dal giorno in cui Elia lo aveva unto a profeta, gettandogli addosso il suo mantello, Eliseo aveva lasciato tutto per seguirlo e per servirlo. Conosceva le battaglie che il suo maestro aveva combattuto, le moltitudini da cui era stato salvato e i nemici che aveva sconfitto o da cui era stato protetto, in particolare sapeva della perfida Jezebel, regina infame, della quale il suo maestro aveva persino predetto la morte. Eliseo gli doveva molto: da lui era stato unto, da lui era stato istruito, da lui era stato guidato e con lui aveva portato avanti la missione profetica assegnatagli. Non poteva lasciarlo andare. Sapeva che presto Elia sarebbe stato rapito in cielo, ma lui non voleva sentire ragioni e si rifiutò di separarsi da lui. “Com’è vero che il Signore vive, e che tu vivi, io non ti lascerò” gli aveva detto più volte. Voleva stare con lui fino alla fine, fino a quando il carro di fuoco non lo avesse separato dall’uomo che gli aveva insegnato tutto e del cui spirito avrebbe ricevuto doppia porzione.


***



Mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, con una sensazione di malinconia mista ad un senso di abbandono. Provai a ripensare al sogno che avevo appena fatto e che mi aveva inquietata: Connie ed io eravamo sull’autobus. lei, vestita di bianco, doveva scendere alla fermata successiva. Ci abbracciammo con tanto affetto.” Devo andare”, mi disse, “devo tornare a casa”. Dopo quel sogno non la sentii più, né ricevetti risposta ai miei tanti messaggi. I nostri incontri telefonici, che erano continuati anche dopo il suo ritorno nelle Filippine, si interruppero di colpo ed io rimasi in attesa di qualche notizia che non sapevo bene come reperire, fino a quando, poco tempo dopo, ricevetti la conferma di ciò che tristemente sospettavo: “Ciao Paola, volevo informarti che la nonna non c’è più”, mi scrisse suo nipote. Connie era tornata a casa.



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